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MARIO MONICELLI:  SUICIDI DI FAMIGLIA

Il 29 novembre (mese dei morti), Mario Monicelli, il grande regista della tragicommedia italiana, decide di porre fine alla sua esistenza, all’età di 95 anni. La sua è certamente una bella età, ma che non gli risparmia il gesto della fine. Un altro intellettuale, lo scrittore Cesare Pavese, che aveva scritto un melodrammatico racconto, “La Bella Estate”, nonostante tutto si suicidava. Senza poi trascurare che il papà di Mario Monicelli, nel 1946, a guerra finita, si suicidava sparandosi nel modesto bagno di casa.  Mario così commentava quell’atto: “Ho capito il suo gesto. Era stato tagliato fuori ingiustamente dal suo lavoro, anche a guerra finita, e sentiva di non avere più niente da fare qua. La vita non è sempre degna di essere vissuta; se smette di essere vera e dignitosa non ne vale la pena.” Certamente Monicelli, che votava “Rifondazione Comunista”, vivendo quasi da mente solitaria, come a lui piaceva, nel rione Monti, a due passi dal Colosseo, nella Suburra, non si poneva troppe domande sulla morte, mentre invece guardava alla vita e alla dignità di essere vissuta con grande impegno. Intellettuali e giornalisti si sono soffermati sul fatto che il regista non avesse più nulla da esprimere, essendo arrivato al traguardo, dopo una lunga vita “vera e dignitosa”, “degna di essere vissuta”. Stava per incontrarsi naturalmente con la morte e il suo cancro alla prostata lo accompagnava, seppure con lentezza biologica, vista la sua età, lungo questo cammino. Ma a mio avviso non basta. Monicelli aveva, dentro di sé, un grande problema: quel lontano gesto del padre, giornalista di fama, che subisce le incomprensioni della storia e si toglie la vita. Malvagia era è sarà sempre la storia, ma non basta la sola malvagità del tempo e delle relazioni a porre fine all’esistenza se nella mente del suicida non cova una spinta, una tendenza, che si confrontano brutalmente con la storia stessa e col vissuto quotidiano. Mario, il figlio, vuole conoscere, fino in fondo, ciò che il padre intese col suo gesto estremo: sa che soltanto ripercorrendo la via seguita dal padre, per presentarsi alla morte, può scoprire i suoi pensieri e le sue profonde sensazioni. Ormai anche lui avverte di essere vicino alla morte, ma prima di subire tale evento assoluto, metafisico, quanto la nascita, non vuole perdere l’ultima occasione per capire cosa si prova nell’atto del suicidio, specie se poi è il gesto conclusivo della vita del proprio padre, che lui amava molto.   

Prof. Antonio Vento

04-12-10

 

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