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IL REVISIONISMO DI MATTEO RENZI

E’ quasi un segno del destino il fatto che alcuni avvenimenti significativi siano arrivati nello stesso momento. La morte e i funerali del grande statista Nelson Mandela   , l’abbattimento e la “rottamazione selvaggia” della statua di Lenin a Kiev, l’elezione di Matteo Renzi a segretario del PD, fatto certamente molto meno rilevante rispetto ai primi due, ma in linea con le vicende storiche che stanno caratterizzando il nostro momento. Iniziamo con lo spiegare perché abbiamo inteso utilizzare l’appellativo di revisionismo come termine configurante il nostro momento storico. Il revisionismo, che nasce ufficialmente come etichetta per la politica nel periodo della rivoluzione Sovietica, di per sé è un termine che evidenzia lo strumento di confutazione per ogni assioma o situazione ritenuti contrari agli interessi degli uomini, senza tener conto delle qualità logiche e morali, ma solo al fine degli interessi del momento. Vediamo come in filosofia Lenin descrive il revisionismo: “Nel campo della filosofia il revisionismo si è messo a rimorchio della “scienza” borghese professorale. I professori “ritornano a Kant”, e il revisionismo si trascina dietro i neokantiani. I professori ripetono le banalità pretesche, mille volte rimasticate, contro il materialismo filosofico, e i revisionisti, sorridendo con condiscendenza borbottano (parola per parola secondo l’ultimo Handbuch) che il materialismo è stato da un pezzo “confutato”. I professori considerano Hegel come un “cane morto” e predicando essi stessi l’idealismo, ma un idealismo mille volte più meschino e banale di quello hegeliano, alzano con sprezzo le spalle a proposito della dialettica, e i revisionisti si cacciano dietro a loro nel pantano dell’avvilimento filosofico della scienza, sostituendo alla dialettica “sottile” (e rivoluzionaria) la “semplice” (e pacifica) “evoluzione”. I professori si guadagnano i loro stipendi adattando i loro sistemi idealistici e “critici” alla “filosofia” medioevale dominante (cioè alla teologia), e i revisionisti si schierano al loro fianco, cercando di fare della religione un “affare privato”, non rispetto allo Stato moderno, ma rispetto al partito della classe d’avanguardia.”
“Nel campo della politica il revisionismo ha tentato di rivedere di fatto il principio fondamentale del marxismo, e cioè la dottrina della lotta di classe. La libertà politica, la democrazia, il suffragio universale distruggono le basi della lotta di classe – ci si è detto – e smentiscono il vecchio principio del Manifesto comunista: gli operai non hanno patria. In regime democratico poiché è la “volontà” della maggioranza che regna, non sarebbe più possibile vedere nello Stato un organo di dominio di classe né sottrarsi ad alleanze con la borghesia progressiva social riformatrice contro i reazionari.”
“Il complemento naturale delle tendenze economiche e politiche del revisionismo è stato il suo atteggiamento verso l’obiettivo finale del movimento socialista. “Il fine non è nulla, il movimento è tutto”, queste parole alate di Bernstein esprimono meglio di lunghe dissertazioni l’essenza del revisionismo. Determinare la propria condotta caso per caso: adattarsi agli avvenimenti del giorno, alle svolte provocate da piccoli fatti politici; dimenticare gli interessi vitali del proletariato e i tratti fondamentali di tutto il regime capitalista, di tutta l’evoluzione del capitalismo; sacrificare questi interessi vitali a un vantaggio reale o supposto del momento, tale è la politica revisionista. Dall’essenza stessa di questa politica risulta chiaramente che essa può assumere forme infinitamente varie e che ogni problema più o meno “nuovo”, ogni svolta più o meno inattesa e imprevista – anche se mutano il corso essenziale degli avvenimenti in una misura infima per un brevissimo periodo di tempo – devono portare inevitabilmente all’una o all’altra varietà di revisionismo.”
Detto questo, non è difficile capire che le chiacchiere dei politici di oggi non possono assolutamente risolvere i problemi della nostra comunità e dell’Europa, e nel caso di Renzi il sapore del revisionismo è più forte perché usa gli strumenti mediatici e della comunicazione come prima di lui hanno fatto, con un certo successo, Berlusconi e Grillo. La denigrazione che questi personaggi indirizzano ai movimenti di massa (che bisogna ancora capire quanto siano spontanei) è veramente pretestuosa e utile soltanto alla conservazione del proprio ruolo di potere, pur recitando ipocritamente un falso ruolo democratico. La legge elettorale è certamente un argomento da riformare, ma questa non può garantire alle parti il coraggio e la passione del governare, che devono invece provenire direttamente dalla volontà del popolo: Renzi pretende di accalappiare la gente definendosi di sinistra, quando di sinistra non è, ma solo un revisionista che vuole recuperare alla politica il modo di governare come governava la Democrazia Cristiana (utilizzando in maniera stucchevole il suo ruolo di sindaco di Firenze). Si è creata una segreteria scenica con sette donne su dodici membri che la costituiscono ed ha mantenuto le correnti rappresentative da Bersani a Civati (tranne Cuperlo che dignitosamente ha rifiutato di farvi parte).
Afferma che i giovani hanno bisogno di lavorare, ma non spiega come procurare questo lavoro, dove prendere i soldi per aiutare le imprese a riprendere il loro cammino, come pagare il debito pubblico: i revisionisti, come ha sempre fatto la borghesia (di cui Renzi fa parte) fanno sempre analisi e mai sintesi, cioè enumerano una lunga serie di belle cose da fare, senza spiegare come si possono realizzare; nella sintesi è zero come tutti gli altri politici. Gioca anche lui con le parole: coraggio, rottamazione, riduzione della burocrazia politica, ma non punta il dito sui loro stipendi, sulle pensioni d’oro, sui privilegi della casta, si limita soltanto a fare qualche spiritosa battuta per conquistarsi la simpatia del pubblico, specie di quello femminile, ma la gente non mangia simpatia, ha bisogno di pane.
Sono certo che se noi  diamo ascolto a questi nuovi ciarlatani del moderno revisionismo politico, ci troveremo tra dieci anni a fare ancora queste riflessioni (chi riuscirà  a sopravvivere). Per fortuna il crollo del capitalismo è vicino, perché è oggettivo, e ci sarà un rimescolamento della ricchezza e una nuova politica che viene dal basso: pare che i forconi sono pronti e ben affilati, per eliminare tutta la sporcizia che si veste di falsa giustizia e di falso perbenismo: i politici, anche i giovani rampanti, che tanto avrebbero da imparare dai grandi, a partire dal sapersi liberare dall’arroganza, non inforcano, ma trucidano la gente avvelenandola e distruggendo la loro identità. Comunque, voglio dire che le chiacchiere lasciano il tempo che trovano e che non si supera il divario tra nord e sud con panegirici storici: io il sud lo conosco bene e nel mio paese godo di molta stima e di fiducia, che al momento opportuno saranno invocate per un fine comune. Mi rendo conto che chi ha qualcosa da perdere ha una grande paura dell’aria che tira, ma l’hanno voluta loro ed ora è giusto che si facciano i conti. In piazza non ci saranno solo i “pischelli” o le donne dalle sembianze gentili, ma, come direbbe Garcia Lorca, “gli uomini dalla voce dura, quelli che domano  cavalli e dominano i fiumi”.
La prova di attesa durerà qualche settimana, dopo di che il diluvio: la piazza e, di nuovo, le organizzazioni clandestine. Ormai “alea iacta est”.

 Prof. Antonio Vento

Roma 13-12-2013

 

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