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UMANESIMO 

Da sempre l’uomo si interroga sulle sue origini. Filosofi, biologi, paleontologi e pensatori di ogni specie hanno cercato di dare una risposta a tale domanda, senza mai raggiungere un risultato soddisfacente o, quanto meno, accettabile sul piano scientifico, in maniera definitiva. Le diverse teorie si sono, via via, appostate nei due blocchi di pensiero, evoluzionismo o creazionismo, che, in maniera alterna, hanno tentato di occupare il punto più alto dell’attenzione della mente umana. L’evoluzionismo, specie quello darwiniano, basato sull’evoluzione filogenetica della specie, ha trovato, di frequente, non poche difficoltà nel modo di provare il suo valore scientifico, per scarsezza di reperti antropomorfi, riferibili alla milionaria storia dell’uomo. Il creazionismo, basato su un principio di fede, che priva la scienza di ogni sua autonomia, con l’essere considerata una parte del creato. Tra i due filoni di pensiero emerge però una grossa differenza, che rimanda ad un’altra più acuta dicotomia: l’immanenza e la trascendenza. L’uomo, in quanto parte integrante della natura e quindi della materia, vista nella sua intrinseca struttura energetica, ha sempre avvertito la sua netta partecipazione al divenire, all’eterna trasformazione, come un segno tangibile della sua molecolarità, che lo rendeva partecipe dell’immanenza finalistica, nel senso di una partecipazione al concetto generale di energia, proiettata dall’informale al formale, per ritornate poi all’informale, ma pur sempre all’energia. Già, fin dalle su origini, il pensiero filosofico aveva  intuito il vitalismo perfetto dell’immanenza naturale; i presocratici ilozoisti ponevano le fondamenta (l’arché) nei quattro elementi fondamentali, che presupponevano ogni potenzialità costitutiva dell’essere, l’acqua, l’aria, la terra e il fuoco. Nei quattro elementi, che causavano ogni espressione della realtà, era intrinseco il senso del divenire e il dispiegarsi di tale divenire, quale immanenza, nello spazio e nel tempo. L’unica finalità, che questa realtà degli elementi di base presupponeva, era la sua stessa potenzialità energetica e perciò il suo infinito divenire, in forme sempre più complesse e progressivamente evolute. Eraclito definì meglio il valore dell’energia e la pose al di là della fisicità immanentistica, proiettandola verso la metafisica di un divenire che presupponeva le moderne teorie vitalistiche. C’è stato un momento nella vita dell’uomo, in cui si è presa coscienza del ruolo ontogenetico della specie, dove l’iniziale esperienza dell’essere, nella  scelta dell’assoluto, si è convertita in sentimento di ritorno alla natura, con la coscienza della storia, che non si poneva il problema della ricerca di un’ontologia, ma soltanto la certezza dell’immanenza e perciò il valore della materia, quale energia scientificamente definibile. E’ da questo momento che ha origine la crazia, come espressione di potere, che produce divisioni e conflitti, proprio perché viene a mancare il sentimento dell’assoluto ed ha il sopravvento il senso di ritorno all’iniziale immanenza. Ogni teoria storicistica presuppone l’immanenza e l’intrinseca conflittualità dell’energia; la dialettica, in tesi e antitesi, parte già da una visione fisica della realtà, che scarta ogni aspirazione alla metafisica, come unità assoluta dell’essere, all’interno della quale non ci sarebbe posto per i conflitti, né per le diversità. Ci sarebbe soltanto un sentimento universale di partecipazione all’assoluto, inteso nella sua trascendentalità, che non esclude né la trascendenza, né l’immanenza, ma entrambe rende possibili nella meraviglia dell’evoluzione. Invece, grazie all’uomo, per un  grave malinteso interpretativo della sua condizione, trascendenza ed immanenza si contrappongono e diventano dottrine, sconfiggendo la genuinità dell’energia ed imponendo l’arroganza del potere della storia. Perfino il creazionismo, con l’idea base del teologismo, non è altro che un tentativo di contrapposizione di una dottrina trascendente ad un’altra dottrina dell’immanenza. Il dottrinismo è alla base di ogni visione etnocratica ed in quanto tale è causa dei conflitti tra etnie, che rendono impossibile l’attuazione di una pace generale. Poniamoci la domanda sul perché l’uomo ha voluto scegliere la storia, abbandonando, come avviene ai nostri giorni, ogni aspirazione alla filosofia, alla grande arte ed in generale ad ogni forma di creatività, concentrando tutti i suoi interessi all’interno di una concezione tecnologica e tecnocratica dell’esserci. La prima possibilità di risposta scaturisce proprio dal fatto che l’essere ormai non si configura più come una ricerca dell’assoluto, attraverso un metodo trascendentale del rivendicare il suo ruolo uomo-mondo (dasein), perché emerge da un abissale condizionamento sovrastrutturale, imposto dalla storicità della conoscenza, che esclude la trascendentalità, riproponendo, con le varie scienze positive, il sottoporsi ai giudizi. I diversi metodi di indagine scientifica partono tutti da un principio pragmatico della conoscenza e dei suoi metodi di indagine, evitando di porre in discussione lo stesso soggetto che conosce ed indaga, a cui si vuole arrivare attraverso l’oggettività dell’esperienza, seppure definita scientifica, senza tener conto dell’unità uomo-mondo (dasein) da cui deve partire ogni forma di pensiero, senza la quale non troverebbe spazio la ricerca stessa. La psicologia positivistica, che nasce da un presente critico, da cui si vuole partire, in forma regressiva, per lo studio del comportamento dell’uomo, non si rende conto che, così facendo, aliena l’individuo in quanto ignora, in partenza e volutamente, la sua condizione eidetica di uomo-mondo (dasein) e si accontenta di stabilire, con lui, un contatto fenomenico ed estetico, che serve soltanto a risolvere le esigenze della scolastica, che non si discostano dalle esigenze delle altre diverse metodologie scientifiche. Il matematico continuerà a spingere la sua logica sul concetto quantitativo, ponendo unità progressive alla destra dello 0,01, all’infinito; ma cosa porrà alla sinistra di questo ente di riferimento? Sicuramente il negativo di quella scala numerica progressiva: sarà come raggiungere, a destra, il paradiso, ed a sinistra l’abisso infernale, ma l’uomo, nel suo esserci, non sarà mai raggiunto, anzi sarà allontanato sempre più da se stesso, come sta accadendo. Così per ogni altra branca del sapere. Soltanto la filosofia, che è stata incatenata dal volere delle scienze positive, cioè basate solo sul concetto di esperienza, può riscattare la scienza dalle sue inabilità eidetiche, atto necessario per una ontologia, e dare ad essa un valore di conoscenza trascendentale, senza il quale è solo un valore fittizio, perché i suoi risultati rimangono nell’interesse della storiografia e dell’economia, all’interno dei quali l’uomo risulta oggetto e non soggetto. Se così è, il soggetto è energia naturale, senza pensiero, dove invece il pensiero è, seppure imprigionato dall’immanenza.

Prof. Antonio Vento

8 aprile 2008
 

 

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